Pëtr Il’ič Čajkovskij-Pikovaja Dama, Teatro San Carlo, Napoli 13 dicembre 2019 di Daniele Nanni
Vi dico subito che glisserò sulla cialtroneria del pubblico, su come sia riuscito a rovinare quel momento di autentica commozione che è stato il finale e su quanta poca soddisfazione abbia dato, causa secondo me ignoranza musicale abissale, agli artefici di uno spettacolo che, nonostante alcuni aspetti migliorabili, sarebbe stato meritevole di ottimo successo.
Ma, d’altronde, se si va all’opera ritenendo la Dama di Picche una palla (e ci sono state parecchie defezioni dopo l’intervallo!), si capiscono (ma non si giustificano!) poi tante cose e si capisce anche perchè tanti teatri hanno i cartelloni pieni solo di Rigoletti, Tosche, Traviate e compagnia bella…con tutto il rispetto per le opere medesime.
Che invece la Dama di Picche sia un capolavoro assoluto, e più l’ascolto più me ne convinco, è un dato di fatto: e buona pace per chi non riesce a capirlo!
Peccato perchè la delusione si leggeva in faccia agli artisti, soprattutto Valcuha e, ripeto e ho avuto la sensazione che il mezzo fiasco non fosse dovuto all’interpretazione, ma proprio all’opera in sé!
Fatto questo sfogo, veniamo allo spettacolo.
E cominciamo dall’allestimento, frutto di un regista molto blasonato come Willy Decker.
Devo dire una mezza delusione.
Scene inesistenti, con pochi elementi architettonici neri che di volta in volta modificavano lo spazio scenico senza però suggerire alcunchè: niente giardini, niente salone delle feste, niente riva del fiume…solo un ambiente claustrofobico sempre legato al gioco, alle carte e all’autodistruzione (quindi alla morte).
Niente di male in tutto questo, per un’opera del genere ci può stare.
Ma il problema è che il “teatro” ha latitato per tutto lo spettacolo.
Mai un momento, tranne il quadro della morte della Contessa (ma per meriti altrui!) e forse l’inizio (con lo sfondo di occhi allucinati che sembravano quelli del celeberrimo e spiritato autoritratto di Courbet), che desse una qualche emozione, compresi quelli dove la musica suggerirebbe un sacco di cose…che però in scena non si vedono!
Moscissimi soprattutto i finali d’atto e le transizioni tra un quadro e l’altro, dove il genio di Tchaikovsky si scatena e in scena i fucili sparavano a salve!!!
E taciamo sulla barbarie di fare senza intervalli i primi due interi atti (quasi due ore di musica): non è solo questione di non stancare musicisti, cantanti…e anche il pubblico, ma di rispettare la struttura teatrale ideata dall’autore.
Come esempio farò solo la mancata cesura prima dell’atto della morte della Contessa, dove la sublime musica ideata da Čajkovskij deve combattere con un cambio scena a vista che non aggiunge nulla alla vicenda e che, delitto mortale!, distrae dalla meravigliosa pagina musicale.
Mi ripeterò: non è questione di regie antiche o moderne, è questione di regie che dicano qualcosa di innovativo e sensato ASSIEME alla musica!
E veniamo ai cantanti.
Dignitosi, ma nessuno davvero eccelso, se non Polina, che però purtroppo ha una parte molto ridotta, nella quale però ha brillato come fulgidissima stella!
(Non starò a dire i spesso impronunciabili nomi degli interpreti…chi vuole veda la locandina online!)
Hermann, il protagonista, ha a che fare con una delle parti più diaboliche e sadiche scritte per la voce di tenore (solo certi ruoli straussiani lo superano) e se la cava con molto onore, soprattutto come interprete, un’anima straziata in molti punti toccante e commovente.
Purtroppo la voce si ingolfa un po’ nel passaggio di registro e gli acuti risultano quindi un po’ chiusi in gola e poco squillanti.
Ma di suoni brutti quasi non se ne sono sentiti, quindi ottima prova.
Lisa ha iniziato bene, ma poi ci si accorge che è una di quelle voci belle, per carità, ma talmente piene di armonici e vibrato (per fortuna né troppo stretto né troppo largo!) che, quando salgono agli acuti, emettono delle note che non si sa più che note siano, tanta è l’incertezza nell’altezza!
Quindi si ha una sensazione di note calanti molto sgradevole e niente bella in tutto il settore dal sol in su.
Rivelatore, a questo riguardo, il finale del bellissimo duetto con Hermann che chiude il primo atto, dove il tenore, saggiamente, non sale all’unisono col soprano, ma se manca la sciabolata del Si naturale finale di Lisa, tutto crolla come un castello di carte (…appunto…sempre le carte!).
Quindi così così.
Il baritono (il Principe Yeleckij) non ha una gran parte, ma questa comprende una delle più belle arie del repertorio lirico di ogni tempo e paese.
Non l’ha cantata male, ma con quel vezzo di molti cantanti slavi di attaccare i suoni da sotto in maniera un po’ scivolata e con alcune note tenute prive di vibrazione e quindi parecchio fastidiose, almeno per il mio orecchio.
Diciamo sufficiente.
Scatenatissimo Tomskj come interprete, il cantante un po’ approssimativo: la mancanza degli acuti ha rovinato la parte finale del fantastico racconto delle famigerate ‘tre carte’ nel primo atto.
Comprimari a parte (peraltro tutti bravi), ho tenuto per ultima la Contessa della veterana (qui il nome lo faccio) Julia Gertseva.
La voce è ormai quella che è, ma è prassi assegnare questo ruolo a cantanti un po’ agèe che, data la richiesta vocale non proibitiva, possono dar sfoggio alle loro qualità di interpreti.
Ebbene, la Gertseva se l’è cavata a meraviglia e, se il ‘suo’ atto è stato il momento più emozionante della serata il merito è certamente suo (oltre a quello di Valcuha, ma su questo parlerò tra un istante).
Splendida prova!
Bravissima l’orchestra e ottimo il coro (almeno vocalmente…come capacità attoriali sorvoliamo, soprattutto se penso ai risultati eccezionali che, su questo versante, raggiunge ad esempio il coro del Covent Garden!).
Cosa manca ancora?… ma manca Valcuha!!! …che ho lasciato per ultimo perchè è davvero la classica ciliegina sulla torta e l’artista per il quale valeva sicuramente la pena farsi 1000 km A/R per assistere a questo spettacolo!
Un genio…non ho altre parole!
Ha trattato la partitura di Čiakovskij con un rigore analitico impressionante, che ha lasciato trapelare ogni minimo dettaglio.
L’orchestra era di volta in volta guizzante come un fuoco fatuo, appassionata, glaciale, tenebrosa, disperata…e chi più ne ha ne metta!
Il tutto senza turgori orchestrali e colori sovraccarichi: un’interpretazione in bianco e nero a punta secca che richiamava l’atmosfera grigia e senza speranza del palcoscenico e che sapeva suggerire ogni sentimento senza mai eccedere in sdolcinature (un pericolo sempre in agguato con Tchaikovsky) e con la giusta intensità.
Il tutto, si badi bene, senza alcuna freddezza interpretativa, ma anzi con una partecipazione e un pathos straordinari! …semplicemente un pathos più calcolato e meno epidermico del consueto.
Si aggiunga un equilibrio praticamente perfetto con cantanti e coristi e verrà fuori una prestazione MAIUSCOLA!
Bravissimo!
Per questo, tornando all’inizio della recensione, mi e dispiaciuto moltissimo vedere soprattutto sul suo volto la delusione per l’esito della serata: non se lo meritava proprio!
Concludendo: pur coi distinguo di cui sopra, serata bellissima!
Daniele Nanni