Giuseppe Verdi-Les vêpres siciliennes Teatro dell’Opera, Roma 22 dicembre 2019 di Daniele Nanni
Cominciamo subito col dire una cosa: serata ME-MO-RA-BI-LE!!!!!!!!!!
Questo per mettere le mani avanti e dire subito che i PICCOLISSIMI distinguo che farò non minano la qualità eccelsa dello spettacolo!
Allora, iniziamo dall’allestimento.
Devo dire che i primi due atti non mi avevano convinto troppo, ma poi, col prosieguo della serata, tutto è andato a posto.
Regia di Valentina Carrasco che ambienta l’opera in un luogo e un’epoca imprecisata (ancorchè contemporanei), con scene di Richard Peduzzi “alla Richard Peduzzi”, ovvero blocchi architettonici semoventi non ben definiti che costituiscono solo quinte per il movimento dei personaggi senza suggerire edifici particolari.
Alla fine, quasi un palcoscenico spoglio…dove però personaggi e masse si muovono con una logica ferrea dall’inizio alla fine.
Molto bella l’idea di base di associare l’idea del “femminino” a quella del suolo patrio (…meglio, a questo punto, dire materno!), con donne ‘vestali’ che sono spesso presenti in scena ogni volta che la musica e/o la trama rievocano il suolo natale, la sua usurpazione e il suo riscatto, quest’ultimo anche da parte di quei tanti figli (e anche Henry è in qualche modo tra questi!) nati dalla violenza sulle donne simbolo della terra profanata dallo “stranio”!
Paradigmatica la soluzione dello spinosissimo momento del balletto (la versione è quella, integralissima, francese del 1855), che rischia sempre di apparire come una zeppa senza nè arte nè parte e che è problema più che spinoso in quest’opera, dove la durata del balletto è addirittura di mezz’ora (!) e la musica non raggiunge certo vette sublimi (Verdi non me ne voglia!).
La Carrasco usa il balletto per inscenare una bellissima pantomima che, sfruttando anche gli interventi dei protagonisti, sottolinea l’intero impianto registico, per terminare con un’orgia scatenata che si traduce, senza soluzione di continuità nella festa da ballo che fa da sfondo al terzo atto: bellissimo! …nonostante (unica intemperanza di un pubblico invece molto ben educato) le grida scomposte di un paio di denigratori che hanno addirittura riattaccato a contestare dopo che Gatti aveva ripreso l’esecuzione! Infami!!!
La conclusione logica è, nel finale, il pugnale che Procida passa ad Henry per assassinare il padre, figlio della colpa che in questo modo vendica la madre e, assieme a lei, l’intera terra natia.
La direzione di Gatti è stata a dir poco strepitosa!
Se un appunto gli si può fare è che in più punti c’è stato un eccesso di calligrafismo, una cura del dettaglio che è stata forse eccessiva e che ha spento un po’ la carica teatrale e l’eccitazione di alcuni momenti.
Ad ogni modo, non c’è stata una riga dello spartito…ma, che dico? Una battuta!… che non abbia ricevuto una lettura nuova, di volta in volta insinuante, elegante, straziante…e chi più ne ha più ne metta!
Ripeto: un atteggiamento forse eccessivo, ma quanto fascinoso!
E sempre con grandissimo gusto, da eccelso musicista qual’egli è.
Si aggiunga che ha concertato e accompagnato i cantanti in maniera regale…gli unici scantonamenti, soprattutto del coro, non si possono certo imputare a lui, che dirigeva, anzi, con gesto sicuro e chiarissimo!
Non c’è stata frase di questo o quel cantante che non sia stata illuminata in maniera originale, con una preferenza per i toni sfumati e le mezzevoci che ha reso più di un momento da commozione lancinante.
Valga per tutti il primo quadro del terzo atto, con Monfort che ha sussurrato la propria aria come se provenisse direttamente dal proprio cuore straziato e con il successivo duetto con Henry che pareva un dialogo Shakespeariano tra due anime l’una in cerca dell’altra! …SUBLIME!
E non che non ci siano stati momenti concitati o grandiosi, ma anche questi con magnifici colori orchestrali e mai fracassoni.
Il coro è stato non eccelso, ma l’orchestra sì, e questo ha contributo a un’esecuzione-capolavoro! Bravissimo, Maestro!
E ora i cantanti.
Bravissimo, come prevedibile, John Osborn negli scabrosissimi panni di Henry.
Forse qualcuno, avvezzo ai tenori verdiani spinti e a certe interpretazioni di Henry (anzi: Arrigo!), potrebbero storcere il naso per mancanza di peso specifico, volume e “metallo”… ma intanto questi non sono “I Vespri”, bensì “Les Vêpres” e il ruolo non di Arrigo bensì di Henry ha una scrittura tutta francese e una tessitura acuta che si adattano come un guanto alla vocalità di retaggio eminentemente belcantistico di Osborn, che fa quindi un figurone.
Non c’è frase scabrosa che non abbia affrontato con nonchalance invidiabile e senza il minimo cedimento, sia come note, che come stile.
Culmine il bellissimo Re sovracuto dell’arietta del quinto atto.
E il tutto con una partecipazione emotiva e un fraseggio davvero commoventi.
Elena era Roberta Mantegna, voce molto bella, estesa e ben timbrata in tutta la gamma, da acuti luminosissimi a gravi a volte un po’ tubati e artefatti ma comunque mai fastidiosi e sempre ben sonori.
Quello che è mancato alla sua Hélène è una maggiore presenza scenica (in verità davvero scarsina!) e, data la scrittura della parte, una maggiore sicurezza nei momenti belcantistici, dove ha mostrato più volte la corda e dove la scarsa dimestichezza con le agilità hanno offuscato anche alcuni acuti.
Piuttosto inispide, a riguardo, l’aria di sortita, dove le agilità dovrebbero evocare la volontà di riscatto degli oppressi ma le bordate sono state sparate con polveri molto bagnate, e il bolero dell’ultimo atto, il cui finale ha lasciato davvero parecchio a desiderare.
Bravissimo il veterano Roberto Frontali cone Monfort, dalla voce ancora sicura e timbrata e che ha saputo seguire Gatti in maniera esemplare, con pianissimi da groppo in gola!
E infine l’altro veterano Michele Pertusi come Procida.
Spiace sottolineare come la voce di questo immenso artista stia iniziando a cedere leggermente, ma l’anagrafe non è purtroppo superabile e i fenomeni che riescono a invecchiare con la voce intatta o quasi sono troppo rari.
Comunque, se si dimentica qualche piccolo cedimento qua e là (cose di pochissimo conto), una grande interpretazione!
La ripresa della sua aria di sortita è stato uno dei (tanti!) momenti magici della serata!
Valeva la pena il viaggio? MILLE VOLTE!!!
Daniele Nanni